«L’apprendimento nell’uomo avviene per circa l’83% attraverso la vista, soltanto per il 10% dall’udito, il resto dagli altri sensi. Dalla medesima indagine risulta che un soggetto ricevente ricorda in media il 10% di ciò che legge, il 20% di ciò che ascolta, il 30% di ciò che vede e il 50% di ciò che contemporaneamente vede e ascolta. » (Matthew P. Murgio, Comumunication graphics, 1969)

Oggi prenderemo in considerazione una modalità d’insegnamento che può favorire l’apprendimento tecnico nei nostri atleti. Per metterla a punto abbiamo però bisogno di conoscere i principali meccanismi d’acquisizione e sedimentazione delle informazioni. Non appare superfluo far presente che l’obiettivo è quello d’insegnare un gesto e fare in modo che venga ricordato, quindi immesso nella memoria a lungo termine (MLT). Cercheremo di essere pratici senza perderci nei meandri di una spiegazione teorica troppo articolata anche se è necessario fissare alcuni punti di supporto alle scelte metodologiche che metteremo in atto. Nel nostro caso faremo fede nei risultati di alcuni studi sulla memoria per trasformarli in nozioni pratiche, accessibili, che valorizzino l’attività che esercitiamo in campo con i nostri atleti.
Premessa
Per molto tempo è stato dato per scontato che la ripetitività tecnica porti all’automatismo gestuale, oggi invece sappiamo che ciò avviene grazie ad un “riconoscimento associativo”. Ciò che significhi lo vedremo alla fine del percorso che stiamo affrontando.
I filtri della memoria
Ogni gesto e movimento genera dei segnali in entrata (informazioni) che vengono accertati, filtrati e memorizzati attraverso una serie di operazioni dal nostro sistema nervoso centrale. I filtri che intervengono risultano molto selettivi, ad esempio la memoria immediata (MI) scarta il 75% dei segnali vagliati, corrispondenti a:
- Alle afferenze troppo similari a quelle già presenti in memoria;
- Ai segnali molto dissimili quelle archiviate precedentemente.
Perché tali nozioni abbiano una fattibilità esecutiva e diventino a noi utili in campo sportivo bisogna tradurre queste conoscenze in competenze. Questo consente di migliorare il modo in cui viene esercitato il nostro ruolo.
In questo caso, da quanto detto precedentemente ricaviamo i seguenti costrutti:
- Abbiamo bisogno di fornire segnali riconoscibili ma non identici o troppo discrepanti da quelli già presenti in memoria.
- Sarà necessario effettuare richieste con varianti esecutive similari, che mantengano però attinenze con il gesto che stiamo insegnando.
Nel proseguire la nostra indagine scopriamo che il 25% dei segnali rimasti solo l’1% verrà immagazzinato nella memoria primariadetta memoria a breve termine (working memory – MBT) che corrisponde al deposito più limitato dell’encefalo. In questo ambito quanto recepito dal nostro atleta resta a sua disposizione per un tempo molto limitato (Da alcuni secondi a qualche minuto), se in questo lasso di tempo il segnale non dovesse essere ripetuto, identificato ed associato a qualche altro aspetto già presente in memoria verrà a sua volta eliminato.
Bisogna anche essere consapevoli che l’alto numero delle afferenze arrivate al cervello (immaginiamo i milioni di segnali propriocettivi che continuamente arrivano per dare riscontro della posizione del nostro corpo nello spazio) vengono continuamente, rapidamente smistate e selezionate.
Il desiderio di apprendere
Determinante in questa fase la “volontà di apprendere” da parte del soggetto, fattore che non lascia scampo a coloro che dimostrano poco interesse per quello che stanno facendo.
Deduciamo che …
… Abbiamo la necessità di ottenere una maggior concentrazione da parte dei nostri allievi.
Nella pratica di campo e in particolare nell’ambito dell’insegnamento questa “maggior concentrazione” si può conseguire in diversi modi. Le abilità dell’insegnante, la sicurezza con la quale guida il gruppo e la capacità di tradurre i segnali che arrivano dai suoi allievi in un continuo feedback relazionale, permettono al gestore dell’azione di modificare i propri atteggiamenti e mediare le pretese.
Solo la modulazione delle esperienze pregresse permette però all’operatore sportivo di scegliere lo schema comportamentale più adatto a stimolare l’attenzione, mantenerla elevata, oppure intuire a quale punto del gioco relazionale deve “mollare” e proporre qualche cosa di diverso.
Non è cosa facile. Perché in questo contesto conoscenza e consapevolezza giocano un ruolo fondamentale. Il tecnico si trova quindi ad escogitare strategie per modulare la propria azione relazionale nel tentativo di mantenere elevata l’attenzione e l’impegno dei suoi giovani allievi.
Si possono però dare alcune indicazioni di base ai tecnici quando operano con i gruppi giovanili affinchè riescano ad entrare in questa dimensione e livello prestativo – didattico:
- Proporre con enfasi le esercitazioni;
- Essere a conoscenza di numerosi esercizi nell’ambito di quello che si sta facendo;
- Conoscere le progressioni didattiche e quindi il valore delle difficoltà che ogni esercizio comporta;
- Evitare di proporre esercizi troppo difficili che gli allievi non sono in grado di gestire (Quindi si demotivano e perdono attenzione verso la proposta);
- Saper cogliere il grado di deconcentrazione che si sta instaurando;
- Mantenere alta la concentrazione significa anche giocare sulle indicazioni offerte agli allievi, quindi sugli obiettivi che si pongono all’azione. Ad esempio si può prospettare lo stesso esercizio ma chiedere di controllare una parte diversa del corpo o di porre attenzione al movimento in forme esterocettive o propriocettive;
- Forse è ripetitivo dirlo ma diventa soprattutto indispensabile non esagerare, le richieste devono risultare “adeguate” e proporzionate alle qualità intellettive, fisiche e motorie dei soggetti;
- C’è poi l’aspetto relazionale. Quello che l’operatore utilizza per “distrarre” o “scaricare” la tensione creata dalle pretese tecniche. E’ una capacità, una dote latente e spesso anche presente in chi lavora con i bambini. La difficoltà sta nel gestirla perché a volte i tecnici accentuano troppo l’aspetto ludico-relazionale perdendo di vista il piano tecnico. Oppure al contrario lo trascurano diventando troppo tecnici o pretenziosi quindi esageratamente “pesanti ed assillanti tecnicamente”;
- Infine c’è il riesame. Quello che la maggior parte degli allenatori dimentica di fare a sera quando rientra a casa. E’ un’azione fondamentale se si vuole crescere, migliorare, filtrare ed appropriarsi pienamente delle esperienze effettuate in campo nel pomeriggio.
Torniamo ora al nostro percorso di apprendimento. Dove eravamo rimasti?
Ci eravamo arenati nel parlare della memoria a breve termine (MBT), una facoltà molto limitata dove le informazioni subiscono un rapido deterioramento e rischiano facilmente di scomparire. C’è quindi bisogno di offrire e dare una certa continuità all’azione facendo in modo di sostenere l’apprendimento. Per questo motivo l’informazione deve essere ripetuta con sufficiente frequenza, altrimenti scompare.
Ricaviamo che … gli esercizi o le esercitazioni vanno ripetute per venire assimilate.
A questo punto siamo diventati consapevoli che riproporre ai giovani gli esercizi abbassa il livello della loro attenzione, ma sappiamo anche che offrire informazioni troppo similari rischia di farle eliminare dai processi di assimilazione cerebrale. Bisogna quindi trovare un compromesso tra la ripetitività dell’azione e la necessità di diversificare i segnali per riuscire fissarla in memoria.
Possiamo rispondere all’esigenza evidenziata comportandoci in questo modo:
- Proporre un esercizio fornendo ai soggetti un’indicazione generale su come eseguirlo;
- Farlo ripetere ponendo e spostando l’attenzione su alcuni particolari, quelli corrispondenti ad esempio ad errori o vizi posturali evidenziati dai ragazzi nell’eseguire l’azione precedente;
- Si può anche riproporre lo stesso esercizio avendo però cura di chiedere un controllo mirato di porzioni diverse del corpo rispetto quelle precedenti;
- Variare leggermente l’esercizio in modo da ottenere informazioni similari (ma non identiche) e stimolare il livello di attenzione del soggetto.
Affinchè le indicazioni appena fornite possano essere recepite dal lettore e possano essere tradotte facilmente in attività pratica, verranno ora esposte le modalità comportamentali da tenere per tradurre quanto detto in un esercizio.
E’ necessario anche puntualizzare che in questa fase l’operatore dovrebbe essere in grado d’individuare i grossolani errori espressi dagli allievi e prevenirli offrendo un gergo tecnico scarno, semplice e magari correlato da dimostrazioni altrettanto efficaci. A suggerirci questo modulo comportamentale è sempre la breve frase iniziale quando dice che si ricorda il 50% di ciò che contemporaneamente vede e ascolta.
- “Ragazzi, eseguiamo un passo saltellato a braccia alternate in leggero avanzamento (consta di 3 semplici richieste)”;
- “Adesso lo ripetiamo cercando di fare in modo che i piedi abbiano sempre ad avanzare (Qui l’istruttore dimostra l’azione corretta), non bisogna quindi che in nessuna fase dell’esercizio ci sia un avvicinamento tra il piede dx e sx (Qui l’istruttore dimostra l’azione scorretta)”;
- “Bravi, ho visto che vi siete impegnati. A questo punto penso siate in grado anche di farlo eseguendo correttamente l’azione dei piedi come abbiamo fatto ora, però vi chiedo di guardare avanti e portare avanti le braccia alternate, distanti dal corpo, in modo di guardare l’ora sul quadrante del braccio che avete davanti (Qui l’istruttore dimostra l’azione come va eseguita correttamente)”;
- Fino a questo momento abbiamo eseguito l’azione “con presa dall’alto “del piede di stacco (L’istruttore mima da fermo l’azione). Come avviene nel salto in lungo. Adesso eseguiamo il passo saltellato in forma diversa “piazzando il piede di stacco in modo radente, come avviene invece nel salo in alto (Qui l’istruttore dimostra come va eseguita l’azione);
- “Ma è meraviglioso come fate questo esercizio!!! … quindi Francesco paga da bere a tutti … avete un minuto per andare alla fontanella a dissetarvi” (Slang di scarico);
Sembra importante ricordare che in fase di apprendimento i ragazzi esprimono una considerevole varietà posturale, proprio perché non si sono impossessati ancora correttamente del gesto e questo consente una “selezione minore” delle informazioni pur ripetendo lo stesso identico esercizio.
Come abbiamo visto nella frase introduttiva a questo scritto l’83% dell’efficacia nell’apprendimento viene ottenuta grazie alla vista.
Ora comprendiamo perché … è importante e necessario adottare un modello motorio cui riferirsi.
Avere a disposizione un modello tecnico di riferimento è indubbiamente la via più celere per ottenere nelle esecuzioni tecniche un apprendimento facilitato. L’operatore sportivo è quindi un tramite nel trasferimento delle esperienze e la sua efficacia e competenza motoria diventa indispensabile e assicura una standard più elevato nell’acquisizione del gesto motorio da parte degli allievi.
Torniamo ora al nostro costrutto iniziale, quindi alla memorizzazione.
A questo punto del percorso i segnali, per essere archiviati in modo definitivo, hanno bisogno che il loro contenuto venga riconosciuto ed associato ad alcune categorie mentali già presenti in memoria. L’archiviazione dimostra il passaggio dalla memoria breve à a quella a lungo termine (MLT) ed è riconoscibile dal fatto che il soggetto ricorda e sa riproporre l’esercizio rispettando i canoni di ciò che gli è stato insegnato in qualsiasi momento. La memoria a lungo termine non ha capacità limitate come la memoria di lavoro (Tulving 1972).
La memoria a lungo termine è generalmente divisa in altre categorie tra le quali ricordiamo:
- La memoria dichiarativa;
- La memoria procedurale.
La memoria dichiarativa riguarda tutte le conoscenze esprimibili a parole, mentre quella procedurale non è verbalizzabile, risulta essere la “memoria di qualcosa”, a cui fanno capo le capacità motorie, le abitudini e le regole apprese inconsciamente (tacite).
Con la pratica possiamo affinare certe capacità motorie. I miglioramenti si mantengono (sono memorizzati) da ogni occasione di pratica a quella successiva, benché gli esatti movimenti muscolari che li hanno prodotti sfuggono del tutto alla nostra consapevolezza.
Come abbiamo avuto modo di vedere, riuscire a sedimentare le informazioni nella memoria a lungo termine, diventa lo scopo principale per coloro che vogliono costruire una mappa mentale[1] stabile.
Una volta depositate le informazioni, per aumentarne l’efficacia c’è bisogno di un’ulteriore fase di perfezionamento e quindi di un successivo più evoluto percorso tecnico–relazionale. Tale evoluzione punta ad ottenere un modello maggiormente produttivo, possibilmente non viziato da imperfezioni ed errori. A tal fine sicuramente molti di noi ritengono che ciò corrisponde ad un modello d’acquisizione basato prevalentemente su un’esacerbata ripetitività del gesto allo scopo di “Automatizzare” l’azione. Concetto che porterebbe a concepire la possibilità che il controllo motorio del gesto una volta imparato e perfezionato, diventi una specie di riflesso guidato dai centri sottocorticali.
Ciò non risulta corretto, il processo di memorizzazione dimostra semplicemente un riconoscimento associativo facilitato verso tutte le informazioni che appartengono a quel determinato sentiero o mappa motoria. Vale a dire che l’atleta diventa più abile non tanto in virtù di una ripetitività esecutiva ma piuttosto mediando segnali similari. Si avvale quindi dall’ampio corredo di esperienze che sono state offerte al soggetto in fase di apprendimento.
CONCLUSIONI
L’ambito che abbiamo vagliato è molto vasto e la nostra azione può essere considerata certamente riduttiva. Le indicazioni espresse portano però da tutt’altra parte e indicano al tecnico interessato a migliorare conoscenze e competenze per allenare il percorso da seguire.
Nel concludere vi offro una frase del Prof. Giorgio Visentin estratta da un interessantissimo lavoro http://www.atlalbiate.com/graziano/sito/multilate/dal%20vedere%20al%20fare.pdf “Dal vedere al fare: l’apprendimento motorio” che appare indicata alla nostra riflessione.
“La corretta automatizzazione di un
movimento nella sua forma fine, infatti, non è il prodotto della semplice
ripetizione del gesto, essa rappresenta soprattutto l’effetto del miglioramento
della coordinazione motoria, cioè della capacità dell’allievo di controllare e
regolare il movimento. Un miglioramento che è tanto più accentuato quanto più i
compiti sono variati ed adeguati agli allievi e quanto più essi si applicano
coscientemente per la loro risoluzione” (Prof. Giorgio Visentin)
[1] La mappa mentale è una forma di rappresentazione grafica del pensiero teorizzata dal cognitivista inglese Tony Buzan, a partire da alcune riflessioni sulle tecniche per prendere appunti.