
Una cosa è certa ed inconfutabile, ci troviamo in una situazione che non abbiamo mai vissuto e sperimentato prima. Una condizione in cui tutto il pianeta è coinvolto. Questo periodo di forzato lockdown ci lascerà sicuramente in eredità un modo diverso di affrontare la quotidianità. Lo abbiamo visto in molte occasioni, lo stiamo saggiando adesso con la chiusura di molti servizi, ma soprattutto è verosimile che ce ne renderemo conto con il passare dei giorni, sempre di più anche nel nostro ambito se la situazione di emergenza dovesse perdurare.
È essenziale ricordare che questa particolare situazione ha sicuramente un effetto sulle condizioni fisiche dello sportivo, ma soprattutto, un impatto negativo sulle condizioni psicologiche dell’atleta. Ci troviamo quindi a dover fronteggiare una situazione che ci costringe ad una riduzione dell’attività fisico-tecnica e condizionale, adattandola alle situazioni di forzata emarginazione dalla quale solo gli atleti più determinati saranno in grado di limitare gli effetti negativi. Per non lasciarci travolgere da questa situazione, la componente motivazionale, cioè il motore dell’agire delle persone deve assolutamente rimanere acceso, l’atleta deve essere pronto sia fisicamente che mentalmente a tornare, con cautela, verso l’attività agonistica.
Il periodo di confinamento ha interessato tutto il mondo dello sport, le problematiche relative al lockdown con le parole d’ordine come “iorestoacasa” hanno influito nel variegato mondo sportivo in modo assai differente. La chiusura delle scuole ha fermato subito le categorie giovanili e in seguito tutte le altre. Presto tutti hanno preso atto e si sono adeguati, ma in modo diverso, alla sospensione delle loro attività e dei servizi sportivi.
Questo stato di cose ha però coinvolto e portato il movimento sportivo a suddividersi in tre distinte categorie:
- Il settore giovanile a mio avviso non ha subito grandi disagi da questa situazione. Dopo una prima fase di sconcerto a questi bambini è sicuramente mancato più l’aspetto sociale che quello motorio. (Per questo settore sarebbe molto interessante invece, analizzare quali metodi adottare per un loro eventuale rientro alla pratica sportiva)
- Altre problematiche le individuerei per i giovani che amano lo sport, lo praticano e grazie ad esso cercano d’inseguire obiettivi di miglioramento personale e tecnico. Questa è una categoria che non ha ancora dimensione del proprio valore, confinati ed impossibilitati a svolgere l’attività quotidiana rischiano di perdere entusiasmo e stimoli. Dopo questo periodo di forzato allontanamento per molti di loro risulterà quindi più difficile il recupero ed il rientro all’attività agonistica. Sono adolescenti che avranno bisogno di nuove attenzioni e molto dipenderà dai loro operatori, persone che dovranno risultare valide e coinvolgenti, capaci di ricostruire soprattutto il fattore motivazionale verso uno sport che questi giovani ancora non conoscono completamente;
- Nel terzo settore vanno invece collocati tutti gli atleti che hanno avuto il dono e la capacità di ottenere risultati importanti, sia a livello giovanile, sia a livello assoluto. Ragazzi/e che in questa situazione si sentono impotenti di fronte ad una drastica riduzione del loro agire nell’ambito sportivo che amano. Questi atleti si sono visti cancellare o posticipare appuntamenti ai quali avevano dedicato aspettative e molte energie. Per loro il confinamento domiciliare ha costituito una grave costrizione ed ora stanno vivendo un periodo d’incertezza dovuto prevalentemente all’impossibilità di sapere se potranno continuare realizzare le loro aspettative agonistiche ed avranno la possibilità di tornare protagonisti grazie allo sport.

Assume quindi valore la gestione di questa condizione ed anche in questo caso l’allenatore riveste un ruolo fondamentale. Quanto si sta facendo, quelle piccole – grandi cose che ogni tecnico propone in questo periodo, sono ben lontane dall’avvicinarsi alle abituali condizioni di allenamento perché mancano la pista o la pedana a portare input tecnici e motivazionali. Quanto stiamo facendo oggi è un’attività simile ad un riscaldamento permanente, operosità che ci mantiene si attivi ma insufficiente per creare stimoli ed aspettative. Al rientro occorrerà organizzare un percorso diverso e quindi riprogrammare un ritorno all’attività agonistica che risulti di stimolo e pungoli i ragazzi riavvicinandoli alle competizioni.
I presupposti per un ritorno all’attività agonistica non sono solo di ordine fisiologico, ci vorrà del tempo per ritornare ad avere le sensazioni che precedevano questo periodo di forzata inattività. Non si tratta di un semplice recupero post – traumatico ma fondamentalmente di riuscire a riacquistare le qualità nervose dissipate dalla:
- Forzata lontananza dalle strutture sportive e gruppo di lavoro;
- Privazione degli elementi tecnici e condizionali;
- Mancanza di uno stimolo nervoso attivato dalla pratica quotidiana.
Diventa quindi necessario riattivare il rapporto con il proprio tecnico per ottenere un supporto che favorisca il recupero di un buon equilibrio psicofisico. L’intervento del tecnico dovrà essere indirizzato e modulato sui bisogni personali e motivazionali dell’atleta facendolo sentire parte di un nuovo progetto. Questo progetto dovrà considerare le necessità tecniche correlate alle dovute attenzioni gestionali riguardo la futura partecipazione alle gare. Il tecnico provvederà a stabilire tempi e metodi e lo farà attraverso l’applicazione di un corretto modello prestativo dell’attività sportivastimolando le intensità e le sollecitazioni atte a favorire il passaggio dalla ripresa dell’allenamento alla manifestazione sportiva.
Come organizzarsi quindi nella fase di rientro all’attività agonistica?
Tecnico ed atleta dovranno ampliare al massimo i canali di comunicazione. Le sessioni di lavoro saranno soprattutto fisiche ma anche attinenti il costante richiamo delle corrette posture tecniche. Diventeranno oltremodo importanti gli input diretti alla preparazione mentale dell’atleta che si farà carico di concentrarsi sulle sensazioni che provengono dal suo corpo.
Ma cosa facciamo in termini concreti?
Ridurre al minimo gli effetti legati alla mancata attività attraverso un percorso che preveda:
- Una corretta progressività nella proposta degli esercizi, velocità di esecuzione e durata complessiva del lavoro richiesto;
- Un recupero e possibilmente un miglioramento della coordinazione muscolare, intesa come la capacità di far lavorare in sinergia i muscoli antagonisti e quelli agonisti al movimento;
- Di ottenere una ottimizzazione nella stabilizzazione globale e segmentaria (articolazioni) grazie ad un uso appropriato dei lavori di forza speciale, quelli atti a far migliorare il tempo di attivazione volontaria e la capacità di esprimersi in modo veloce, esplosivo e reattivo;
- Il ripristino dell’efficienza nelle abilità specifiche che riportino alla corretta esecuzione del gesto attraverso il ritmo, la postura e l’equilibrio;
- Al tecnico spetterà inoltre il compito di valutare una adeguata analisi dei fattori di rischio al fine di favorire la transizione dell’atleta da una situazione di quasi inattività a quella di chi dovrà riprendere a gareggiare nello spazio di poche settimane.
L’allenatore sotto questo aspetto dovrà rivelarsi un vero alchimista cercando di far fronte a tutta la sua di creatività, mantenendo sempre aperti i canali di collegamento con i suoi atleti, rivolgendosi a tutti in modo semplice, diretto, comprensibile, chiaro, sincero, ma soprattutto dovrà ricreare attorno a sé quell’ambiente di sicurezza e fiducia che sicuramente aveva faticosamente costruito. Da parte loro, gli atleti, persone abituate ad avere tutto sotto controllo, dovranno riorganizzare il loro tempo e la loro quotidianità.
La necessità di ritornare ad affrontare una competizione passa necessariamente dalla verifica al perfezionamento dei processi motori specifici della specialità praticata, prevedendo tipologie di intervento diverse da settore a settore:
- Velocità dai 100 ai 400 piani – 100/400 ostacoli
Il ripristino e l’attivazione dei meccanismi neurali per le distanze brevi (100m – 200m – 100m ostacoli – 110m ostacoli) è particolarmente complicato. Non aver potuto accedere ad una pista di atletica per un tempo così lungo non solo ha indebolito le qualità muscolari dell’atleta ma questo disagio si è riversato anche sulla componente nervosa. Il lavoro specifico in pista è davvero l’unico mezzo per stimolare in modo adeguato dell’apparato neuro muscolare alla massima intensità. Per gli specialisti degli ostacoli, sia bassi che alti, il confinamento porta sicuramente ad una perdita delle sensibilità esterocettive e cinestetiche essenziali alla coordinazione del gesto. Dobbiamo considerare inoltre che l’assenza di esercitazioni ad alta intensità, che richiedono un grande coinvolgimento della muscolatura degli arti inferiori, può creare i presupposti ad un aumento del rischio infortuni al momento della ripresa se questa non viene adeguatamente strutturata.
- Il mezzofondo (medie, lunghe distanze e marcia)
Dopo aver superato la prima settimana tra incertezza e riorganizzazione, nel complesso senza grandi conseguenze negative, i mezzofondisti avranno trovato beneficio in un repentino abbassamento delle intensità, quelli delle lunghe distanze si saranno organizzati, in base alle loro condizioni logistiche, per cercare di mantenere per quanto possibile presenti nel loro training quotidiano una adeguata presenza dei fattori organici. Questo per limitare il più possibile gli effetti negativi del confinamento. Una buona cyclette, un tapis roulant e una buona organizzazione di lavoro in circuito dovrebbero aver consentito loro di stimolare per quanto possibile il loro organismo confidando in una adeguata variazione degli sforzi. Per questi ultimi la pista e meno importante anche se il potenziale “mantenimento” ha per gli atleti delle discipline prevalentemente aerobiche, un impatto importante sulle diverse componenti di approvvigionamento della cellula muscolare. L’ingresso in pista deve quindi essere dosato grazie ad un ripristino della meccanica di corsa e la ricerca di una fluidità nella corsa, va poi valutato l’impatto con la pista applicando il sano concetto di progressività, quello che consente di evitare stress e traumi a strutture non adeguatamente sollecitate nel precedente periodo. Insomma, una piccola parentesi dedicata alla ripresa graduale sia nei volumi che nell’intensità del lavoro normalmente eseguito in pista.

I salti (lungo, alto e asta)
Per un saltatore o per un lanciatore, non vi sono differenze. La mancanza di informazioni cinestetiche dovute alla forzata lontananza dalle pedane determinano per tutti e tre i salti un grande ostacolo. Tutti hanno bisogno di sentire la pedana, per un corretto ritmo della rincorsa, per uno stacco efficace e per una fase di volo corretta. Sono tutti elementi di un lavoro tecnico/specifico che vengono a mancare e che sono ben più complessi se paragonati alle altre specialità. Anche qui l’uso di una certa gradualità dei mezzi speciali e specifici sembra essere la strada migliore per evitare qualche risentimento.
Lanci (giavellotto, peso, disco e martello)
Come per i saltatori, anche i lanciatori hanno l’esigenza della pedana, la mancanza di sensibilità comporta errori, la mancata continuità nello sviluppo della tecnica con l’attrezzo comporta azioni e sensazioni scorrette. Il lavoro di forza, essenziale per un lanciatore è assai limitato e questo va a rendere ancora più difficile la corretta gestione del gesto tecnico.
Decathlon ed eptatlon
Tutto ciò che è stato analizzato per gli altri gruppi di specialità va applicato alla prova multipla. Decatleti ed eptatlete, data l’ampia gamma di abilità che devono sollecitare, le scarse opportunità che verranno messe in calendario per manifestazioni di questo tipo, sono probabilmente i più penalizzati da questa situazione.
Diventa necessario affrontare nel percorso d’inserimento verso l’attività agonistica, una riflessione alla ricerca di un equilibrio tra il livello raggiungibile di prestazione, gli obiettivi dell’atleta e la qualità/quantità di lavoro richiesto. Sarebbe opportuno chiederci, dove eravamo rimasti, ritornare in campo e lavorare con progressività, riprendere il percorso non da dove si è interrotto ma un po’ più indietro, lavorare tecnicamente per riprendere un rapporto con gli attrezzi, le pedane e le sensibilità che abbiamo abbandonato. Il tecnico dovrà favorire, per organizzare in modo efficace il ritorno all’attività agonistica, il perfetto equilibrio tra la capacità di gestione dei movimenti complessi, la tecnica raffinata del gesto e le caratteristiche psicofisiche del suo atleta.