
Nella nostra società, sempre più ragazzini in età scolare presentano disabilità di vario tipo. Questi fanciulli partecipano alla vita sociale assieme ai loro coetanei. Si parla quindi di integrazione.
Cosa significa ‘integrare’? e … quali accorgimenti attuare, nel quotidiano, per integrare ogni fanciullo nell’attività sportiva?
Forse, per rispondere a questa domanda in maniera approfondita, non basta un articolo … occorrerebbe un libro, in cui riassumere anche tante esperienze di vita. In questa sede mi limiterò a dare alcuni spunti di riflessione, linee guida che possano divenire utili ad istruttori ed allenatori.
Palestra di società: condividere le regole
Innanzi tutto è importante sottolineare e ribadire che ogni uomo deve essere considerato, in quanto tale, membro necessario, indispensabile dell’umanità (Froebel). Pertanto occorre donargli la dovuta dignità, fatta anche di regole e norme, date con dolce fermezza.
Il ragazzino disabile può avere diversi gradi di abilità, non poter eseguire ogni richiesta come i coetanei dal punto di vista delle performances, ma agli occhi di tutto il gruppo ha il diritto/dovere di stare anche lui alle regole che permettono di ‘vivere bene insieme’. L’attività sportiva può divenire un’occasione, all’infuori della casa e della scuola, per imparare a vivere in società, condividendo le norme di vita comune.
A questo fine, l’allenatore dovrà imparare a fare proprio l’atteggiamento della dolce fermezza: “L’adulto che agisce con dolce fermezza è colui che si propone al piccolo come presenza su cui contare, ponendo inizialmente regole ben precise, all’interno delle quali il bambino possa iniziare a conoscere sé e il proprio corpo, destreggiarsi, sperimentando un’autonomia e responsabilità proporzionata alla propria età. Mano a mano che essa cresce, le regole potranno essere tolte per dare spazio all’autoregolazione dell’individuo” (Faberi 2008).
I coetanei possono diventare dei preziosi alleati sia del fanciullo che dell’istruttore, per aiutare il compagno in difficoltà a dare risposte sempre più adeguate al contesto: danno all’amico “maggiori occasioni per interagire, ma nello stesso tempo [loro stessi] vengono anche coinvolti e responsabilizzati (ciò diventa prezioso per dare una mansione importante a chi ha problemi comportamentali). Quando [l’allenatore] chiama per andare a sedersi, o mettersi in fila, possono esserci due compagni che aiutano il bambino in difficoltà a porre attenzione all’insegnante, lo prendono per mano e lo aiutano a fare come loro. Se un alunno iperattivo si alza e cerca di allontanarsi, in un momento in cui è richiesto di restare seduti, i due compagni vicini lo aiutano a riaccomodarsi e non spostarsi. Si pensi al bambino autistico che si isola in un angolino della stanza in un momento di gioco libero: i bambini che notano questa situazione possono essere educati ad andare spontaneamente con lui, in modo che non si isoli e siano i coetanei stessi a non lasciarlo solo. Una modalità efficace per rendere l’educando consapevole delle sue stereotipie ed invitarlo ad arrestarle consiste nel rimanere di fronte a lui ed imitarlo: può essere un compito assegnato ad alcuni compagni, a loro si spiega che questo non è un modo per scherzarlo, ma per aiutarlo” (Faberi 2019, pp. 394-395).
L’integrazione nelle regole di convivenza civile all’interno del gruppo può essere il primo, il più importante obbiettivo!
Sono davvero stanco di trovare fanciulli adagiati perché, nei vari contesti di vita, non viene richiesto loro di dimostrare la loro dignità, ovvero di dover stare alle norme degli altri.
Palestra di autonomie
Atti comuni, ma non scontati, possono diventare una palestra di autonomie in cui il fanciullo faccia da sé, o con l’aiuto dei compagni, senza la presenza dei genitori: cambiarsi le scarpe, gestire la propria sacca, entrare ed uscire nella struttura sportiva, ecc.
Anche il pagamento della quota mensile, andare al barettino a fare merenda con gli amici, salire sul pulmino delle trasferte, ecc. possono essere preziose occasioni di autonomia.
Ruolo e richieste adeguate alle abilità
L’allenatore ha poi il compito di individuare il ruolo più opportuno che il fanciullo può avere nella squadra, nel gioco: dovrà tenere presenti le abilità del bambino, la sua età funzionale, per porgli degli obbiettivi realizzabili, affinché possa migliorare le sue capacità in quella che Vygostskij (1978) chiama zona di sviluppo prossimale.
È interessante tener presente che varie attività motorie possono essere molto preziose per lo sviluppo globale del ragazzino in difficoltà:
- le attività di coordinazione globale, che si rifanno allo striscio in schema crociato ed al gattonare, per il fanciullo con ritardi dello sviluppo ed impaccio motorio;
- attività che richiedano l’uso di molto equilibrio (capriole, salti, pattinaggio, sci) per il ragazzino iperattivo che deve imparare a scaricare, gestire ed organizzare la propria energia, o per il ragazzino che ha bisogno di aumentare l’equilibrio e/o le capacità visive.
L’allenatore, dopo un breve periodo di valutazione/osservazione del fanciullo, dovrà seriamente valutare la modalità più opportuna per aiutarlo superare il suo record personale.
In alcuni casi, determinate abilità e peculiarità del ragazzino possono diventare utili al gioco di tutti. Addirittura, il bambino con disabilità motorie importanti potrebbe diventare un validissimo arbitro, o intermediario nelle liti tra compagni!
Per un gioco di squadra … di vita
Tutte queste premesse, aiutano a coinvolgere in maniera naturale e costruttiva ogni ragazzino, anche se disabile, in uno spirito di squadra vivo e costruttivo.
Bibliografia
Faberi M. (2008), “Dolce fermezza ed educazione”, educare.it, anno VIII, 5.
Faberi M. (2019), “L’integrazione scolastica e sociale”, in Bambini e ragazzi che chiedono aiuto, Edizioni del Rosone, Foggia.
Froebel F., L’educazione dell’uomo e altri scritti, La nuova Italia, Firenze.
Vygotskji L.S., Mind in society, Harvard University Press, Cambridge 1978.