
Il corretto utilizzo dell’attività multidisciplinare, pur con i limiti che ne sono propri, porta a vantaggi e svantaggi che devono essere attentamente valutati dall’allenatore. Oggi li sonderemo a fondo nel tentativo di dare corretta dimensione a questo metodo di lavoro che sembra prevaricare modalità più adeguate come la multilateralità e viene applicato dalle giovani generazioni tecniche soprattutto a livello giovanile.
Come già ho avuto in altre occasioni modo di puntualizzare l’ambito Multidisciplinare dovrebbe essere utilizzato successivamente a quello multilaterale. Il corretto temporale utilizzo permetterebbe di offrire una perfezionata progressività all’azione tecnico educativa e potrebbe portare a guardare anche nella prospettiva di un successivo avviamento dell’atleta verso l’ambito delle prove multiple, oppure inserito nell’esplorazione delle specialità da parte di giovani atleti della categoria cadetti e allievi che cercano la giusta collocazione specialistica.
Purtroppo l’aspetto multidisciplinare viene spesso impiegato in forme e modi impropri. Estrapolato dal suo contesto, trova collocazione nel corretto uso delle singole specialità come stimolo per una più ampia formazione fisica, mentale ed attitudinale al fine di forgiare atleti che puntino ad elevare il proprio tasso tecnico. Chi conserva una certa memoria storica non può fare a meno di ricordare come molti operatori legati alle prove multiple abbiano profuso impegno per ottenere un maggior riconoscimento della disciplina. La loro cieca dedizione ad un’attività articolata come quella multidisciplinare ha oltretutto permesso di conseguire buoni risultati e si deve dar merito proprio a questi tecnici innamorati dell’atletica Leggera, se gli atleti che hanno effettuato tale percorso sono riusciti a dimostrare:
- Una minor assuefazione alla vita specialistica;
- Un ritardo nella propensione specialistica;
- Risultati più qualificanti quando si sono dedicati alla singola specialità.
Ciò premesso, appare corretto riconoscere che questo modo di operare incide ed ha merito nell’aver ridotto l’abbandono sportivo, permettendo ai soggetti praticanti un’evoluzione dei risultati quando si orientano verso forme più specifiche. L’impatto con l’atletica affrontata in modo multidisciplinare risulta infine esprimere notevoli pregi rivelandosi di gran lunga più produttivo rispetto un rapido avviamento dell’atleta alla disciplina per la quale in età giovanile enuncia maggior propensione.
La mia generazione ha fatto da rostro a questo tipo di attività in una nave che vagava nel mare del disinteresse federale per le prove multiple ed i ricordi di quella condizione sono ancora vivi e presenti nella mia persona.
Dopo un lungo periodo di appannamento, probabilmente dovuto all’abbandono della trincea o ad un cambio generazionale, alcuni allenatori, forse stanchi di essere ignorati, adottano oggi l’aspetto multidisciplinare per riprendere fiato. La sostanziale differenza con il fenomeno equivalente ad allora è riferibile al fatto che la mia generazione cominciavamo fare atletica intorno ai 15 anni mentre adesso a questa età si rischia di appendere le scarpe al chiodo.
Ad un’analisi più approfondita risulta facile notare come attualmente si verifichi un evidente spostamento dell’attività agonistica verso i settori più giovanili. Conseguentemente appare necessario trovare collocazione specialistica agli atleti e la multidisciplinarità diventa strumento per dare sistemazione a quanti non enuncino da subito particolari propensioni.
L’aspetto multidisciplinare offre risposta all’assuefazione specialistica ma innesca anche meccanismi migratori da una specialità all’altra. Molti ragazzi vengono così guidati a spostarsi nel tentativo di trovare spazi e ambiti dove risulta più facile emergere permettendo di individuare le naturali propensioni dei soggetti praticanti.
Questo nomadismo specialistico gratifica tutte le componenti dell’ambiente. Atleti, tecnici e dirigenti ottengono infatti immediate soddisfazioni con vittorie, la copertura delle gare ai CDS, la partecipazione a circuiti di manifestazioni alle quali la società aderisce con ambizioni di classifica e l’inserimento in graduatoria degli stessi elementi in specialità diverse.
Tale condizione consente però di ottenere successi effimeri, tanto che i fasti vengono presto annullati dalla continua perdita di materiale umano perché i giovani si abituano ad affrontare superficialmente lo sport e se non enunciano marcate propensioni cercano collocazione in altri ambiti sportivi. Esistono poi motivi tecnici molto specifici per mettere le mani avanti e gridare “Attenti al lupo”. Se prendiamo in considerazione il piano di uno sviluppo tecnico e programmatico dobbiamo anche far presente al lettore che quando s’intende ottenere una reale crescita delle capacità fisiche e motorie che fanno da supporto alle diverse specialità l’aspetto multidisciplinare dimostra tutti i suoi limiti.
Le forme specialistiche enunciano confini soprattutto nell’espressione qualitativa del lavoro e solo nell’alta specializzazione (terzo step) sviluppano esperienze fini e mirate, soprattutto in atleti (la maggior parte) che affrontano l’attività armati di labili prerequisiti. Sotto questo aspetto le esercitazioni di carattere multilaterale si rivelano di gran lunga più incisive e forniscono al soggetto un controllo posturale decisamente più elevato.
Vi è quindi da prendere in considerazione il bisogno che tutti noi tecnici abbiamo di togliere una serie di carenze all’azione dei nostri atleti. Andare in pedana e far saltare o lanciare l’atleta sprovvisti dei necessari prerequisiti non è proprio un modo per risolvere la questione.
Molto spesso si è costretti ad arretrare, ricostruire l’immagine mentale e pratica del gesto e tutto ciò si ottiene prevalentemente agendo in forme analitiche spostate progressivamente verso forme semi – globali fino ad arrivare al gesto completo ed applicando quindi metodologie che si rifanno più all’applicazione del “metodo lego” [1] che alla pratica specialistica generalizzata.
L’esperienza di campo consente di affermare che la multidisciplinarità applicata nella sua forma più diretta, intesa cioè come il praticare specialità diverse, è adatta ad individui ben dotati, persone in possesso di requisiti istintivi elevati, atleti che possono permettersi di passare agevolmente da una specialità all’altra, assecondati dalle abilità di cui sono forniti da mamma natura.
Appare pratica purtroppo meno idonea per atleti comuni, quelli che di norma alleniamo, persone che risultano invece caratterizzate da problemi posturali, lacune, mancanze di equilibri specifici. Chi presenta carenze fisiche di base o coordinative non troverà nella multidisciplinarità soluzione alle proprie mancanze.
L’espressione globale, influendo in modo marginale sulle espressioni analitiche, mal si adatta quindi a risolvere il piede appoggiato male, la torsione scorretta del busto allo stacco o altri vizi nell’applicazione degli assetti e nella distribuzione della forza durante le espressioni specialistiche.
Ci sono piuttosto i margini per poter affermare che alcune azioni globali consentono un accrescimento positivo e indiretto di alcune capacità fisiche e motorie, come la destrezza e la coordinazione specifica e uno sviluppo mirato della forza come quella veloce, esplosiva, elastica, etc. Tanto è vero che nel salto in alto si esprimono capacità di forza esplosiva molto simili a quelle che ravvisiamo nel giavellotto e ciò è anche comprovato dal passaggio di atleti da una specialità all’altra.
Per esprimere un percorso più corretto mi permetto di citare il consiglio che l’amico Renzo Chemello (per lungo tempo responsabile HS della Fidal Veneto) infonde a tutti gli atleti che trovano indecisione nel dedicarsi agli ostacoli o al salto in lungo. Pur essendo naturalmente invaghito degli ostacoli – e quindi di parte – Renzo giustamente ricorda ai ragazzi come tutti gli ostacolisti enuncino anche ottime capacità nel salto in lungo.
Mi permetto d’interpretare il suo pensiero quando affermo che la sua posizione non sottintende solo correre gli ostacoli in gara o allenamento, ma si riferisca al “lavoro sugli ostacoli”, cioè a tutte quelle meravigliose esercitazioni che danno all’atleta un assetto atto a fare qualsiasi altra specialità. Questa considerazione mi autorizza ad introdurre l’idea che l’espressione globale, non offrendo da sola i requisiti per superare le carenze o esaltare le qualità, abbisogni proprio di “tutto quel lavoro che si fa per imparare la specialità”.
Come si fa ad utilizzare l’aspetto multidisciplinare in modo più produttivo?
Vi sono due sostanziali modi di operare:
- Utilizzare le forme globali per amalgamare quelle analitiche;
- Servirsi di parti dell’azione globale per fissare o correggere atteggiamenti o posture tecniche
Emerge quindi la prospettiva che vi siano altri modi di operare e trarre profitto dal lavoro multidisciplinare. Vado a prospettare questo percorso presentandone i presupposti.
L’attività globale mostra valori che devono essere sottolineati e proposti al lettore.
Il pregio maggiore è forse quello di riuscire a fondere le acquisizioni analitiche restituendo fluidità al gesto. Per questo le esercitazioni analitiche della corsa (Andature) abbisognano di essere raccordate e amalgamate alla corsa, al fine di essere memorizzate e riversate nel gesto globale. Anche quelle come la corsa rapida e ampia, richiedono un passaggio d’insieme per essere compiutamente assimilate dal soggetto.
Tale lavoro ha il compito di riportare l’atleta ad uno standard espressivo naturale, mettendo però a frutto i nuovi valori acquisiti (miglioramento della forza specifica, sensibilità estensive, assetti tecnici … etc). Dal punto di vista metodologico va sottolineato che l’utilizzo di esercitazioni analitiche o globali in forme esacerbate e specialistiche come la corsa ampia e rapida, trova collocazione nel periodo antecedente quello agonistico, evitando così di esprimere effetti macchinosi ed innaturali al gesto in gara, dove viene pertanto elusa o molto limitata l’applicazione.
In altre parole si cerca di restituire scorrevolezza all’espressione tecnica grazie ad un lavoro globale. Come abbiamo sottolineato la valenza realizza risultati positivi solo se collocata nella corretta fase di progettazione, in altro caso può compromettere non solo l’aspetto estetico del gesto, ma anche la prestazione tecnica. Lo stesso si può dire delle esercitazioni analitiche, quale che sia la pedana che prendiamo in considerazione. Gli accorgimenti e la ripetitività analitica trovano compimento esclusivamente nel ritorno ad una fase complessiva (globale), nella quale tutte le cose apprese precedentemente, affinate, mutate grazie a forme analitiche vengono riversate nel gesto globale. Anche qui il ripristino di una forma complessiva del movimento riattiva le potenzialità accresciute e le valorizza inglobandole nell’azione tecnica definitiva del gesto.
Espressa questa prima maniera di praticare
l’attività, è necessario dare consistenza al secondo tipo di proposta operativa e per farlo sembra
necessario far presente al lettore che le specialità dell’atletica possiedono peculiarità e diversità che potrebbero essere sfruttate e fare da supporto
all’apprendimento del gesto motorio. Tali assonanze e dissonanze
costituiscono il patrimonio al quale dovremmo attingere quando abbiamo
necessità di ampliare o focalizzare alcuni aspetti specifici ai quali i nostri
atleti dovrebbero attingere. Approfondiremo questo aspetto nella seconda parte
dell’articolo.
[1] La tecnica del “metodo lego” fa riferimento proprio al famoso gioco nel quale con dei mattoncini (azioni analitiche) si costruisce, si demolisce e si ricostruisce l’oggetto (gesto) fino a farlo evolvere portandolo ad una ulteriore e più particolareggiata struttura architettonica.