Lo scorso 22 dicembre è stato approvato a larga maggioranza il Ddl Lorenzin che determinerà, tra le altre cose, il riconoscimento dell’osteopatia come professione sanitaria. Nell’attesa che gli organi competenti stabiliscano le linee guida per lo svolgimento della professione, in molti si chiedono in che modo tutto ciò possa integrarsi in un contesto sanitario e se questo possa andare a beneficio anche dei pazienti ricoverati in strutture ospedaliere.
In letteratura esistono vari studi che indagano l’eventuale efficacia del trattamento osteopatico nel contribuire a migliorare le condizioni cliniche in pazienti affetti da diverse patologie. Ovviamente, in questi studi, l’osteopatia non si sostituisce mai alle cure mediche tradizionali, ma lavora in sinergia con esse per cercare di creare un maggiore beneficio terapeutico.
Più di uno studio è stato portato a termine su pazienti affetti da polmonite ai quali, oltre alle cure tradizionali, veniva proposto un ciclo di trattamenti osteopatici. Ne è un esempio la pubblicazione di Noll et al. avvenuta nel 2010 [1]. Questi osteopati statunitensi hanno eseguito lo studio su centinaia di persone in un lasso temporale di tre anni.
Il trattamento osteopatico che somministravano ai pazienti, della durata di quindici minuti, veniva ripetuto due volte al giorno per tutto il periodo di degenza. Le tecniche utilizzate erano indirizzate sulla muscolatura toracolombare, sulle coste, sul diaframma, sul rachide e sulla muscolatura suboccipitale; il tutto per ridurre la tensione muscolare e migliorare la mobilità della gabbia toracica stimolando teoricamente anche i gangli ortosimpatici dorsali. Gli autori consideravano il rilasciamento della muscolatura suboccipitale utile anche al miglioramento dello stato trofico del nervo vago che fornisce innervazione parasimpatica anche alle vie aeree e ai polmoni. In aggiunta a queste tecniche venivano effettuati anche dei pompage linfatici, ovvero specifiche tecniche manuali in grado di aumentare la risposta del sistema immunitario [2,3,4,5].
I pazienti erano divisi in tre gruppi in modo casuale ma senza differenze sostanziali riguardo a fattori socioeconomici, gravità della polmonite ed eventuali comorbità. Tutti i gruppi ricevevano le medesime cure mediche ma solo uno il trattamento osteopatico e, degli altri due, uno riceveva un trattamento fittizio, mentre l’altro veniva considerato come gruppo di controllo e non ricevendo alcuna tecnica. Gli studi scientifici usano spesso questa struttura di divisione del campione in modo da verificare se i risultati ottenuti siano davvero frutto delle tecniche eseguite oppure se il merito debba essere ricondotto all’effetto placebo o ad altre concause. Nello studio in questione è emerso che i tempi di degenza ospedaliera per polmonite, in media di nove giorni, erano scesi a sei se, alle cure tradizionali, veniva associato il trattamento osteopatico. Inoltre, tra i pazienti trattati anche con l’osteopatia, la polmonite tendeva ad aggravarsi meno frequentemente e raramente portava a complicanze. Una possibile spiegazione arriva da alcuni studi [6,7,8] che hanno evidenziato come pazienti immobilizzati a letto avevano una prognosi più severa dovuta alla polmonite.
Il movimento, al contrario, seppur minimo, poteva influire in maniera positiva. Le tecniche osteopatiche potrebbero quindi, tra i vari benefici, riprodurre quel minimo di movimento che i pazienti più deboli non riuscirebbero a fare migliorandone così la prognosi.
E’ da notare inoltre come da questo studio sia emerso che anche una parte dei pazienti trattata con un finto trattamento sia migliorata, anche se in misura minore rispetto al campione sul quale era stato effettuato il trattamento osteopatico. Questo fa riflettere sull’importanza del contatto manuale e umano in un contesto ospedaliero e sulla potenza dell’effetto placebo: il paziente potrebbe mostrare un miglioramento parziale anche solo pensando che qualcuno si stia pendendo cura di lui in misura maggiore.
Purtroppo il numero del campione di questo studio, seppur consistente, è ancora troppo esiguo per portare a conclusioni inattaccabili. Le informazioni che ne sono emerse vanno dunque prese come un buon incentivo per continuare a fare indagini scientifiche a riguardo. Con il riconoscimento sanitario forse sarà più facile in Italia eseguire questi studi nelle strutture ospedaliere e ciò potrebbe portare alla nascita di nuove e più valide pubblicazioni in grado di confutare o avvalorare l’efficacia dell’osteopatia in relazione alle varie condizioni cliniche.