La bandelletta ileotibiale è situata nella regione laterale della coscia e corrisponde alla porzione aponeurotica del muscolo tensore della fascia lata (TFL).
Origina dall’osso iliaco mediante il TFL e si inserisce sulla tibia a livello del tubercolo del Gerdy. Durante il suo decorso incontra diverse strutture anatomiche e, a livello del ginocchio, entra in rapporto con il condilo laterale del femore.
Quando il ginocchio è in estensione la parte terminale della bandelletta si trova anteriormente al condilo, con trenta gradi di flessione è perfettamente sovrapposta ad esso e con l’ulteriore aumento della flessione si sposta posteriormente al condilo femorale.
Questo spostamento, dettato dal movimento del ginocchio (corsa, bici..), può causare uno sfregamento tra queste due strutture che, se protratto nel tempo, potrebbe causare una tendinite conosciuta comunemente come sindrome della bandelletta ileotibiale.
Proprio a causa di questo frizionamento tra le due componenti muscoloscheletriche, gli sportivi più coinvolti sono quelli che praticano gesti atletici che prevedono la continua fesso-estensione del ginocchio come maratoneti e ciclisti ma anche calciatori e tennisti.
In particolare, in atletica leggera, questa condizione rappresenta il 12% delle cause di interruzione di attività per infortunio [1;2] e si verifica per la maggior parte dei casi nei fondisti.
Inizialmente il dolore può presentarsi dopo alcuni chilometri di corsa, specie se la superficie del terreno è accidentata e non in piano. Con il tempo questo dolore tenderà a manifestarsi sempre più precocemente nell’arco di un allenamento e diventerà debilitante a tal punto da imporre all’atleta di terminare l’allenamento.
Si può immaginare il dramma di un atleta che fino a qualche settimana prima “girava su tempi da personale” e con il sopraggiungere di questa tendinite non riesce a salire e scendere le scale e non è in grado nemmeno di flettere la gamba durante la camminata [3].
Data la negatività di un’eventuale radiografia, la diagnosi di questa condizione viene fatta clinicamente escludendo in primo luogo problematiche legate alla componente meniscale e legamentosa del ginocchio. Si indaga la retrazione della fascia lata mediante Ober test e si prova a ricreare il dolore palpando la zona condilare mentre il ginocchio è flesso di trenta gradi [3].
Per evitare l’aggravarsi e il cronicizzarsi dell’infiammazione si consiglia un periodo di riposo dall’attività sportiva che varia da due a tre settimane. Durante le prime 48 ore è funzionale usare ghiaccio localmente sul punto dolente e secondo alcuni studi sarebbe utile anche l’uso di farmaci antinfiammatori non steroidei nei primi giorni [4].
Anche l’alternanza caldo-freddo e l’uso di idromassaggio porterebbero benefici anche se da soli, questi accorgimenti, non risultano sufficienti [5;6]. Si consiglia dunque l’uso di ultrasuoni, ionoforesi, laser terapia e diatermia. Dal punto di vista manuale si eseguono massaggi trasversi profondi sul TFL seguiti da esercizi di stretching per la fascia lata [3]. E’ consigliabile anche un controllo osteopatico per evidenziare e se possibile correggere alterazioni posturali e di carico podalico. Inoltre tecniche di strain-counterstrain eseguite a distanza di pochi giorni sembrano essere ottime per diminuire notevolmente l’intensità del dolore [7].
Se il dolore rimane persistente si può valutare l’uso di infiltrazioni di corticosteroidi tra la bandelletta e la zona condilare. Come ultima opzione rimane l’intervento chirurgico, al quale seguirà un periodo di ripresa di circa otto settimane [3].
La ripresa dell’attività fisica deve essere graduale. Si consiglia di correre su terreni morbidi, regolari e senza pendenze. E’ da valutare l’acquisto di calzature più protettive o più consone al proprio bisogno podalico. Risulta inoltre importante per coloro che si allenano in pista variare il senso della corsa, magari per il riscaldamento e il defaticamento, così come per chi si allena in strada su percorsi particolarmente curvilinei [3].
Come sempre si può notare che un approccio multimodale risulta essere il più efficacie, specie se associato ad una tempestiva e precoce diagnosi con relativo inizio di trattamento. Molte volte, come nel caso di questa sindrome, ignorare i dolori comparsi durante la corsa contribuisce solo ad avere tempi di recupero più lunghi che possono condizionare anche l’intera stagione agonistica.